4 luglio 2019
PICCOLO DIARIO PER GIACOMETTI - 2
di Marco Goldin
Voglio raccontarvi una piccola storia, quella della straordinaria famiglia di Alberto Giacometti, tutti artisti, a cominciare dal padre Giovanni e dal cugino di lui, Augusto. E per raccontarvi questa storia, oggi, volevo partire da qui, dall'ospedale di Coira, dove Giacometti si spense alle 10 del mattino dell'11 gennaio 1966. Tre mesi prima aveva compiuto 64 anni. Per questo ieri sera mi sono fermato a dormire a Coira, perché da un punto bisogna sempre cominciare e quel punto, molte volte, è meglio trovarlo nella fine, perché si comprende meglio come sfilare il bandolo della matassa. Non mi piace leggere soltanto sui libri le cose, vedere le immagini, le pur belle fotografie. Mi è impossibile non viaggiare, e viaggiare per venire incontro ai pittori, anche se non ci sono più. Viaggiare per conoscere meglio, per conoscere di più, e stare, e camminare nei luoghi che gli artisti hanno essi stessi vissuto. Conoscere per vivere fino in fondo, nel modo in cui sono capace, la vertigine della vita. E quante volte questa vertigine l'ho incontrata, e l'ho riconosciuta, proprio nei posti del mondo in cui un artista è diventato tale. Certi posti sotto il sole o la pioggia, quando cade la neve o il vento li porta via.
Dunque Coira, nei Grigioni. Il 5 dicembre 1965, Giacometti lascia Parigi per farsi ricoverare in ospedale qui e sottoporsi ad alcune analisi. Solo alcune settimane prima Brassaï aveva scritto: "Trovo un Alberto Giacometti dimagrito, curvo, fluttuante nei suoi vestiti, il volto sempre più scolpito, rilavorato dalla sofferenza. Tuttavia la luce che brilla nei suoi occhi arrossati dall'insonnia è intatta e la sua voce è rimasta altrettanto seducente, sicura, calda". Gli esiti delle analisi escludono una ricomparsa del tumore ma la condizione di Alberto è in netto peggioramento. Sembra possa essere dimesso per passare le vacanze di Natale nella casa di Stampa, sotto il passo del Maloja, ma la cosa non si rivela possibile.
Giacometti è diventato ormai egli stesso come il filo sottilissimo del ragno con cui tante volte aveva tessuto i suoi disegni. Quei suoi meravigliosi e così violati e tuttavia inviolabili disegni. Magro oltre ogni dire, ormai le forze lo abbandonano. Circondato da chi ha più amato, lascia il mondo in un sospiro, in una mattina di freddo e neve. Il fratello Diego, l'adorato fratello Diego che per Alberto è stato quasi come Théo per Vincent, dirà: "Ho visto morire Alberto. Ero seduto al suo capezzale, gli tenevo la mano. Alberto mi guardava, o piuttosto scrutava i contorni del mio volto, disegnandomi con gli occhi come disegnava con gli occhi e trasponeva in disegno qualsiasi cosa su cui posasse lo sguardo". Anche Théo tenne la mano a Vincent mentre moriva, sotto il cielo stellato a Auvers. Sotto quell'oblò dal quale entrava nella cameretta l'immenso.
Ma a Coira non c'è solo quell'ospedale. A un crocicchio di strade, davanti a un semaforo, c'è il Museo d'arte dei Grigioni. Vi sono contenute opere di Giovanni, il padre di Alberto, e di Augusto, il cugino di Giovanni. Due intere sale a loro dedicate. Bellissime. Colme di vento e del profumo della vita. Sì, piene di vita e poi del suo scorrere e poi della sua fine. Tutto nel meraviglioso, grande giro del tempo che da qualche parte ritorna. Alberto bambino, nella casa di Stampa, osservava il padre dipingere e cominciava a disegnare, a rappresentare così precocemente ciò che vedeva. Senza paura, con impeto e precisione, con testardaggine e amore. Giovanni ha dipinto quadri incantati, molti paesaggi della Val Bregaglia. Primavere e nevi, fioriture e lampi di sole su un ponte. Le montagne amate come il Piz Duan e una madre che tiene in braccio un bambino sotto un albero in fiore. È il principio della primavera e oltre i prati e il giallo dei fiori in alto occhieggia il bianco della neve. Alberto guarda, vede quella natura maestosa e mistica tra Stampa e il Maloja, dove passa lungo tempo in estate.
Commuove vedere nel museo di Coira i quadri del padre, mentre il figlio bambino tesseva nei suoi occhi pensieri di estenuata meraviglia. Guardando il padre che metteva colori. E poi anche i quadri di Augusto Giacometti, certi ritratti dipinti tra il 1910 e il 1912. Il padre che sorge sulla tela nella chiarità di una mattina, una donna bellissima sotto un grande cappello blu. E poi il suo stesso autoritratto, con una pittura squamata di viola e gialli e marroni. Bianco il colletto inamidato della camicia. E poi una fantasia di fiori di patata, come un cosmo a primavera. E poi la Via Lattea, un tondo dipinto che sembra davvero la smisurata profondità fiorita del cielo. Ma nella stanza accanto alcune sculture essenziali di Alberto. E accanto un quadro, un suo quadro. Un paesaggio nei dintorni di Stampa dipinto nel 1952. Fatto di segni aggrovigliati e lacerati. E poi fatto di cielo e orizzonti illividiti di montagne. Da dove ripartiremo domani. Stasera l'emozione già trabocca.
[Giovanni Giacometti, Primavera (Piz Duan), 1905 / Coira, Museo d'arte dei Grigioni]