Confini da Monet a Hopper
Canto con variazioni
Passariano di Codroipo (UD), Villa Manin, Esedra di Levante
11 Ottobre 2025 - 12 Aprile 2026
Passariano di Codroipo (UD), Villa Manin, Esedra di Levante
11 Ottobre 2025 - 12 Aprile 2026
mostra a cura di
Marco Goldin
Passariano di Codroipo (UD), Villa Manin, Esedra di Levante
11 ottobre 2025 - 12 aprile 2026
Ma adesso portiamoci alla conclusione della mostra. Un grande fisico contemporaneo, Lee Smolin, ha scritto così in un suo libro bellissimo e rivelatore, La vita del cosmo: “Ciò che rende una cosa bella da guardare è, almeno in parte, il fatto che c’è appunto tanto da guardare. Se lasciamo d’un lato l’austera bellezza di un deserto o il cinico richiamo di certa arte contemporanea, una scena bella trattiene su di sé il nostro sguardo così a lungo e si lascia rivisitare così tante volte perché in lei, in ogni sua scala – dal complesso della composizione al più minuto dettaglio – ci sono tante cose e tante cose da vedere, cose al tempo stesso nuove e armoniose con il tutto.
Parte della bellezza di questo scenario è dunque nel fatto che su ogni scala, dal maestoso al minuscolo, e su ogni intervallo di tempo, dal secondo anno accade qualcosa, su ogni scala c’è un’armonia da cogliere, una struttura che si forma o che muore.”
Monet negli ultimi trent’anni della sua vita - dopo avere a lungo cercato i suoi confini tra la Normandia e il corso della Senna, tra le nevi di Norvegia e il cielo di Londra, tra Antibes e Venezia – ha raccolto i suoi confini nello spazio di un giardino. Ascoltando le parole morbidissime di Rabindranath Tagore, potremmo dire che ha fatto con la sua pittura il giardiniere:
Rinuncerò a ogni altro mio lavoro.
Getterò nella polvere le mie lance e le mie spade.
Non inviarmi in Corti lontane,
non ordinarmi di compiere nuove conquiste.
Ma fammi giardiniere del tuo giardino di fiori.
Monet ha bisogno di un luogo da guardare. In cui poter guardare la bellezza. Così dopo avere tanto a lungo modificato i luoghi di quel suo guardare, ha avuto infine necessità di un luogo definitivo. I confini di un giardino, il giardino dei miracoli e delle meraviglie. Il giardino di Giverny.
Lì ha adeguato gli strumenti della sua visione agli stati dell’essere, proprio i movimenti dell’inspirare e dell’espirare che sono quelli del mare da lui tanto amato. Come a perpetuare l’atto sacro della nascita, così infinitamente protratta. In quel giardino la bellezza ogni ora si modifica, è altra cosa da sé, altra da quella inizialmente data.
Monet – e la mostra lo farà vedere con alcune splendide versioni di ninfee – costruisce la sua nuova idea di confine all’interno del giardino, affinché il giardino possa essere il pieno e il vuoto, la primavera e l’autunno, il salire e il digradare, la luce e il suo diradarsi.
Egli ha continuato a viaggiare per trent’anni entro quei confini tanto stretti se paragonati alla vastità del mare o alle ondulazioni di colline che aveva dipinto quasi mezzo secolo prima ad Argenteuil. Ha continuato a viaggiare entro quei confini per rendere tutto sempre nuovo e diverso, giorno dopo giorno. Arrivando fino in fondo a quel processo di interiorizzazione per cui gli oggetti che sono i fiori, gli alberi, le ninfee, i glicini, perdono del tutto la loro significazione materiale. E sono il confine che lucrezianamente si dissolve nell’universo. Di più, il giardino è l’universo. E siamo così tornati al punto di partenza. La mostra ci lascia nel cerchio della vita.