Realizzare delle opere a tema è sempre problematico, perché richiede lo sforzo di trovare (sempre che esista) un punto d’incontro tra la propria poetica e il tema, attraverso la verifica del se e del quanto il tema sia in grado di suscitare emozioni capaci di tradursi in opera.

Quando ho iniziato a lavorare su Ungaretti non ero certo né dell’esistenza né della possibilità di questo punto d’incontro, ma nel progredire del lavoro, la rielaborazione della memoria dei luoghi del Carso visitati e l’approfondimento della vicenda umana e artistica di Ungaretti hanno aperto uno scenario emozionale, nel quale ho ritrovato quei sentimenti di attesa e sospensione che appartengono alla mia poetica e che, travalicando il “qui e ora”, si traducono in quel “senza tempo” e in quel “senza fine” che caratterizzano tutta la mia storia d’artista.

Alle mie perplessità iniziali è subentrata, attraverso la percezione e l’elaborazione di questo scenario emozionale, la consapevolezza dell’esistenza di corrispondenze tra il tema e il mio lavoro e, man mano che il lavoro (dapprima incerto dentro di me) è proseguito, questa consapevolezza è diventata sempre più chiara e mi sono reso conto che il tema mi apparteneva più di quanto pensassi. Il dubbio e l’esitazione hanno così lasciato spazio a uno stato d’animo carico di sicurezza e invaso da emozioni sempre più lucide, che si sono tradotte in una serie di opere per me più profonde.